Singolarità spaziotemporali: Radiazione di Hawking
Singolarità spaziotemporale è il nome comunemente usato dalla comunità degli astrofisici per definire “buco nero”, una regione di spaziotempo dove la forza gravitazionale è talmente forte da impedire persino ai fotoni ( particelle della luce) di sfuggire.
In pratica è una regione buia, “ nera”, dove tutto ciò che viene catturato non ha possibilità di fuga.
Negli anni 70 però, il fisico inglese Hawking dimostrò la possibilità che una radiazione venga “emessa” da queste singolarità. Il lavoro di Hawking si basa su concetti della teoria dei quanti, “pacchetti” di energia che formano, ad esempio, la luce. Il cardine è il “principio di indeterminazione di Heisemberg” che, nel 1927, decretò che non è possibile determinare simultaneamente la posizione e la velocità di una particella. In altre parole, la meccanica quantistica tratta dell’infinitamente piccolo e, quando si vuole misurare una certa grandezza a queste dimensioni, l’esperimento perturba ciò che si vuole misurare. Da questo, il fisico danese Niels Bohr derivò il “principio di complementarità” secondo cui onde e corpuscoli sono due aspetti complementari, ma mutuamente esclusivi, della luce. Non si possono cioè osservare simultaneamente comportamenti ondulatori e particellari.
L’indeterminazione non si limita alla questione della misura, ma è proprio una proprietà intrinseca del mondo infinitamente piccolo, per cui le grandezze coniugate non possono mai essere nulle, quindi determinabili contemporaneamente. Quello che noi chiamiamo “vuoto” in realtà non è mai “vuoto”, ma un continuo ribollire di fluttuazioni di energia su scale temporali estremamente piccole, dell’ordine di 10 alla -44 secondi, il tempo di Planck. In queste fluttuazioni si possono generare coppie di particelle e antiparticelle che vivono in tempo infinitesimale: le particelle virtuali.
Secondo Hawking, se questo processo avviene sull’orlo dell’orizzonte degli eventi ( il “ bordo” del buco nero) può succedere che nell’attimo della creazione di una coppia di particelle, la gravità abbia il sopravvento su una delle due lasciando sfuggire l’altra.
Introducendo il concetto della meccanica quantistica, l’Entanglement, si pensa di poter avere informazioni su ciò che succede all’interno della singolarità spaziotemporale.
Si considerino due particelle correlate tra loro che si muovono allontanandosi l’una dall’altra. Quando saranno lontane abbastanza in modo che un apparato di misura non possa disturbare entrambe, misuriamo velocità e posizione su una delle due. Paradossalmente conosceremmo anche la velocità e la posizione dell’altra, aggirando il principio di indeterminazione (Paradosso Einstein- Podolsky- Rosen). Negli anni ‘80 si dimostrò che anche se lontane, due particelle rimanevano correlate fra loro: una modifica dei parametri di una comporta una modifica istantanea dei parametri dell’altra. Ne deriva una realtà quantistica in cui tutto è correlato istantaneamente (entangled) e quindi il paradosso EPR diventa uno dei pilastri della meccanica quantistica…( e uno scoglio principale ad una unificazione con la teoria della relatività, per la presenza di un’azione simultanea). Usando l’entanglement, quando si crea una coppia di particelle, queste sono correlate, per cui se una scompare oltre l’orizzonte degli eventi, l’altra ne resta correlata; studiando quest’ultima è quindi possibile avere informazioni da oltre l’orizzonte degli eventi stesso.
Un semicerchio delimitato da particelle virtuali nate da fluttuazioni quantistiche: energia che crepita. Due volti: uno per sempre intrappolato dentro la singolarità spaziotemporale, l’altro antivolto o antiparticella libero di muoversi nell’universo per raccontare con la luce degli occhi mondi nuovi e dimensioni sconosciute.
Dimensioni: 50x 70
Tecnica mista: Matita grassa “Pablo”, tempera.